giovedì 23 aprile 2015

                         

                 Happy birthday,
                                  
                               mastro Shakespeare...

  



Quattrocentocinquantun'anni di fascino e mistero...

Compirebbe oggi quattrocentocinquantun'anni, ma decisamente non li dimostra, preso com'e' ad incantarci con le sue parole immortali, che conosciamo tutti, ma proprio tutti, e che tutti abbiamo visto almeno una volta stampate su tazze, t-shirt, borse di stoffa, gadget, magneti, adesivi, poster, se non lette sulle pagine delle migliaia di libri che di lui parlano, o in cui e' lui stesso a parlare. 
Con un seguito di oltre sette milioni di fans sulla pagina Facebook a lui dedicata, e un dono della sintesi da far invidia ai piu' sfegatati cinguettatori di Twitter, nell'epoca del 2.0 e' sempre e ancora lui, il Cigno di Avon, oggetto di una vera e propria Bardolatry, idolatria del Bardo, a tenere banco e a risultare tremendamente piu' contemporaneo della stragrande maggioranza di tanti produttori di prosa e versi contemporanei, e sempre, terribilmente, sul pezzo.
Incoronato icona pop grazie ad un'interminabile sequenza di film, serie televisive, cartoon, che ne hanno reso immortali i personaggi, le gesta, le trame, le citazioni, riletto, rivisitato, rappresentato sui palcoscenici dei teatri di tutto il mondo, William Shakespeare nasce e muore nel giorno dedicato a San Giorgio, patrono d'Inghilterra, il 23 aprile, a cinquantadue anni di distanza, in quello stesso luogo delle Midlands occidentali, Stratford upon Avon, microcosmo divenuto celeberrimo al di la' della Manica, dopo aver dato vita a ben trentasette opere teatrali, prodotto centocinquattasette scritti, introdotto almeno tremila parole, divenute di uso comune nel vocabolario inglese e non solo, ed essere entrato per sempre nella storia come il piu' grande drammaturgo di tutti i tempi.
Decisamente non male, considerando che di lui si sa soltanto che " nacque a Stratford, fece l'attore a Londra, scrisse, torno' a Stratford, fece testamento e morì ". In realta', nonostante il mistero che ne avvolge la leggendaria figura, di lui si sa di piu' che sugli altri drammaturghi contemporanei, potendo affermare, ad esempio, che scrisse sicuramente da solo trentadue delle opere teatrali, nessuna delle quali sopravvive nel manoscritto originale, che nel suo testamento non fu menzionato - stranamente, come i piu' maliziosi fanno notare - nemmeno un libro, e che entro' in contatto con quel Michelangelo Florio, umanista ebreo siciliano emigrato in Inghilterra, divenuto precettore nientepopodimeno che della principessa Elizabeth Tudor, futura Elizabeth I, e di Lady Jane Grey, da cui avrebbe appreso molte delle consuetudini all'epoca vigenti in piccoli paesi della provincia italica, riprese nel suo First Folio, l'opera omnia del Bardo, che difficilmente l'attore di Stratford, divenuto lo scrittore britannico piu' famoso di tutti i tempi, avrebbe potuto conoscere.
Tra un fiorire di leggende e un rincorrersi di ricostruzioni piu' o meno fantasiose - tra cui quella che vede il giovane e sconosciuto attore inglese, deceduto in giovane eta', imparentato con la famiglia siciliana dei Florio, uno dei quali ne avrebbe preso l'identita', o quella secondo cui, dietro a William Shakespeare, attore sì, ma sprovvisto di talento per la scrittura, si celerebbe in realta' un gruppo di autori, che avrebbe dato vita a tutte le opere a lui attribuite - quello che fa' di Shakespeare lo scrittore per tutte le stagioni, capace di arrivare a qualsiasi cuore, e' la potenza della semplicita', il fascino del desiderio, il senso del destino, la ricerca di senso, lo struggimento delle attese, la lusinga del potere, gli sberleffi dell'esistenza, la sensibilita' moderna, in grado di rappresentare le eterne figure della commedia umana su quel grande palcoscenico chiamato vita. Giulietta, Ofelia, Desdemona, Ermione, Otello, Re Lear, Riccardo, Shylock, Amleto, Macbeth, amore, desiderio, passione, ambizione, malvagita', rimpianto, paura, speranza, parlano ad ognuno e di ognuno, in un eterno gioco di specchi in cui ognuno rivede sé stesso, sognando per un istante di impersonare quel segreto immortale che Shakespeare ha portato con sé, blow them to the moon...


Quattrocentocinquantuno di questi anni, Mastro Shakespeare...

mercoledì 25 marzo 2015

                                               

                                      Now is the winter of our
                          discontent...


Riccardo III. Una leggenda nera lunga 529 anni

 


" Ora l'inverno del nostro scontento
e' reso estate gloriosa sotto questo sole di York,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa
giacciono sepolte nel profondo grembo dell'oceano..." .

Ama decisamente far parlare di sé, questo re dall'indole inquieta ed eclettica, alla ricerca di una perenne rivincita sulla vita, consegnato alla leggenda dall'affilata penna del bardo Shakespeare, che ne ha reso immortali le gesta ignobili, facendone il protagonista di una delle sue tragedie piu' cupe, e che oggi ritorna alla ribalta con una rentrée in grande stile.
Malvagio, istrionico, assetato di potere, l'enigmatico signore di York calca i palcoscenici di tutto il mondo, non smettendo di ammaliare il pubblico di ogni tempo, con quella sua aria sinistra e, in fondo, affascinante, portando sulle scene l'eterna rappresentazione del potere, nelle sue complesse, spietate, sfaccettature.  Tutti, i piu' grandi, si sono cimentati con lui, dall'immortale ed indimenticabile Laurence Olivier, a Orson Welles, fino ai contemporanei Al Pacino, Ian McKellen, Kevin Spacey, che a questo ruolo si e' ispirato per impersonare Frank Underwood, diabolico protagonista di House of cards, e ora, dopo aver vestito i panni di Sherlock Holmes per la BBC, anche Benedict Cumberbatch.     




Astuto, falso, traditore, come si definisce lui stesso nei versi shakespeariani, Riccardo III incarna il mistero del male, la sua seduzione, non lasciando il tempo di stupirsi, mentre passa da una contraddizione all'altra, da una distorsione all'altra, da una maschera all'altra, in una crescente escalation che esplora la psicologia malata del potere, e dietro a cui si nasconde una desolante, disperata, solitudine. Uomo di tutti i delitti e di tutti gli inganni, capace di colpire senza rimorso chiunque possa intralciarne il  cammino nella inarrestabile scalata verso il trono, in una impressionante, malefica, morbosa sequenza di morte, il Riccardo fatto rivivere da Shakespeare rappresenta il male assoluto per eccellenza, in cui il personaggio reale e quello romanzato si intrecciano, dando vita ad un intrigo perverso ed affascinante, non privo di humour, in cui la deformita' fisica del protagonista, descritto come ripugnante nell'aspetto, "talmente claudicante e goffo che i cani mi abbaiano quando gli passo accanto arrancando", allude ad una deformita' piu' profonda ed inquietante, quella morale. Un potere, distruttivo, che non risiede nella possenza fisica, ma nell'abilita' a distorcere, dissimulare, manipolare, indossando le sembianze che di volta in volta piu' si adattano a rendersi credibile, in un gioco perverso di intrighi, menzogne, segreti, che rivelano una crescente, inquietante ossessione. Accecato dal sospetto, e vittima della sua stessa brama di rivincita, dopo aver eliminato tutti i possibili contendenti, tra cui i suoi stessi nipoti, ancora in tenera eta', e i piu' stretti collaboratori, il principe malvagio vive notti d'incubo, popolate dagli spettri delle sue vittime, che gli preannunciano l'ingloriosa fine, ormai imminente.
" Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo", gridera', prima di morire, accerchiato, sul campo di battaglia, chiuso in una parabola destinata a chiudersi nel sangue, lo stesso che aveva versato nella sua folle, inesorabile, cecita'. Ma dietro questo re tanto crudele ed ambizioso, quanto carismatico ed affascinante, a cui e' impossibile rimanere insensibili, divenuto archetipo di un potere malvagio e corrotto, destinato a condurre alla rovina chiunque vi si avvicini, si cela una verita' storica assai diversa, la storia di un giovane principe che e' essa stessa leggenda. Dodicesimo figlio del duca di York, discendente da Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza terra, ultimo esponente della dinastia dei Plantageneto, Riccardo III, nato duca di Gloucester, regno' soltanto per due anni, entrando con un ruolo di primo piano in una delle vicende piu' note della storia inglese, la Guerra delle due rose, combattuta tra gli eredi della dinastia degli York, che avevano come simbolo una rosa bianca, e quella dei Lancaster, rappresentati da una rosa rossa, che avrebbero dato inizio all'era Tudor, risultando vincitori sugli avversari. Dall'intreccio sanguinoso di due rose, diverse soltanto per il colore, nasce un nuova epoca sotto il cielo d'Inghilterra, rappresentata da Edoardo VII, conte di Lancaster e Richmond, vincitore di quel Riccardo III di York che Shakespeare si premura di dipingere con sfumature tanto cupe ed abbiette al fine - mai confessato - di compiacere Elisabetta I, sua graziosa committente, donna dalla tempra assai volitiva e dalle simpatie mutevoli, discendente diretta del vincitore della battaglia di Bosworth Field, non lontano da Leicester, nel cuore dell'antica Inghilterra, nell'agosto del 1485. Di non essere nato esattamente sotto una buona stella, nonostante i nobili natali, deve essersene accorto lo stesso Riccardo, quando, stando alla leggenda, una veggente gli avrebbe predetto, proprio alla vigilia della battaglia di Leicester," where your spur should strike on the ride to the battle, your head shall be broken on the return", ove il tuo sperone dovesse colpire nella cavalcata verso la battaglia, la tua testa sara' rotta al ritorno... E proprio secondo la stessa leggenda, andando verso la fatidica battaglia, Riccardo avrebbe colpito con lo sperone una pietra sul ponte di Bow Bridge, contro cui il suo cranio sarebbe andato ad infrangersi, quando, ormai cadavere, i nemici l'avrebbero trascinato lontano dal campo di battaglia, abbandonandone i miseri resti alla pieta' dei Grey friars di Leicester, i Frati Grigi del convento francescano raso al suolo nel 1530, all'apice della dissoluzione dei monasteri per volere del sovrano passato alla storia per personalita' e spietatezza, il grande Enrico VIII Tudor, padre della suddetta Elisabetta I, nota anche come la Regina vergine.
" Vigliaccco! Ho puntato il mio regno su una giocata, e accettero' il rischio del dado... Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo", gli fara' pronunciare il bardo, quando, ormai sconfitto nella battaglia finale, vuole un cavallo per inseguire ed uccidere il suo rivale, Enrico Tudor conte di Richmond, sbarcato con un esercito di mercenari dalla Francia per usurpargli il trono. Nella finzione scenica, quel duello avra' luogo, ed oltre ad infrangere i sogni del Plantageneto, segnera' la fine della trentennale Guerra delle due Rose, aprendo le porte del potere a centodiciotto anni di dinastia Tudor. Da quel giorno, di Riccardo III, ultimo re ad essere stato ucciso in battaglia e unico ad esserlo sul suolo inglese dalla battaglia di Hastings del 1066, si perde ogni traccia, niente sepolture né onore, soltanto l'avverarsi di quella maledizione, "Dispera e muori", a cui gli spiriti delle sue vittime l'avrebbero condannato la notte prima della battaglia di Bosworth Field.
Ma mentre alla notizia della sua morte, la citta' di York piange il suo sovrano, ricordando come "in questo giorno il nostro buon re Riccardo venne tragicamente assassinato ed annientato, a grande cordoglio di questa citta' ", e' lo stesso duca di Richmond Lancaster, salito al trono come Enrico VII Tudor dopo la vittoria di Bosworth, ad accusare davanti al Parlamento il predecessore di tirannia e crudelta', senza tuttavia nominare la terribile ed infamante accusa, riportata da Shakespeare, quella di infanticidio. Tra tutti i crimini attribuiti a Riccardo III, infatti, quello dell'omicidio dei due giovani nipoti, Edoardo, principe di Galles, e Riccardo, duca di York, entrambi figli del fratello Edoardo IV, imprigionati nella Torre di Londra, e' senza dubbio il piu' efferato. Il destino dei principi, intorno a cui si e' creato un vero e proprio mistero, destinato, tutt'oggi, a rimanere tale,  e' indissolubilmente legato alle sorti del matrimonio dei genitori, re Edoardo IV, fratello maggiore di Riccardo III, e Elisabeth Woodwille, dichiarato non valido per una precedente unione di Edoardo. Alla scomparsa del padre, il giovane principe di Galles avrebbe dovuto salire al trono come Edoardo V al compimento della maggiore eta', sotto la reggenza dello zio come Lord Protettore, ma la dichiarazione di nullita' del matrimonio dei genitori  prima dell'incoronazione del giovane Edoardo, rese i due principi illegittimi, privandoli di ogni pretesa al trono, con la conseguente ascesa al potere di Riccardo III. Da quel momento, dei due giovani principi, alloggiati negli appartamenti reali della Torre di Londra, in attesa di quella che avrebbe dovuto essere l'incoronazione del maggiore, come Edoardo V, si persero completamente le tracce. 
Il primo a parlare dell'omicidio dei principi nella Torre di Londra, ad opera di Riccardo III, fu Sir Thomas More, divenuto San Tommaso Moro dopo il martirio sotto il regno di Enrico VIII, 
nella postuma Storia di Riccardo III, pubblicata dopo la sua morte, asserendo che i due giovani principi sarebbero stati uccisi e dati alle fiamme all'interno della Torre per volere del re, e il ritrovamento di due piccoli scheletri, risalenti al quindicesimo secolo, in un baule bruciato, nel 1674, avrebbe dato corpo all'ipotesi dell'omicidio. Ma, se di omicidio si e' trattato, non vi e' prova, cosi' come non vi e' prova del coinvolgimento dello zio -  che al contrario accolse a corte la madre dei due principi, la cognata Elisabeth Woodwille, e le sue figlie - nella loro scomparsa.
Il mistero, dunque, continua, alimentato dalla leggenda nera che aleggia intorno al piu' vituperato sovrano della storia d'Oltremanica, e dall'impareggiabile tratteggio che Shakespeare fa' dei principini, arguti ed affascinanti nella loro innocente giovinezza, capaci di distinguere prima degli adulti le mire del perfido zio, e, come tali, un possibile ostacolo da eliminare per tempo... In realta', il regno del terrore di shakespeariana memoria e' da attribuirsi piu' alla feconda immaginazione e all'ineguagliabile talento del piu' grande autore di lingua inglese, geniale nel disegnare la parabola del potere che si ritorce su sé stesso, e la cui inesauribile sete arriva fino ai giorni nostri, facendo risuonare come terribilmente attuali le parole dell'infido Riccardo, che, fingendo di sottrarsi al peso della corona, sibila con aria mefistofelicamente melliflua " Volete dunque costringermi ad accettare un mondo di affanni? (...) anche se contrario alla mia coscienza e al mio cuore, e' un sacrificio, ma lo faccio per il bene del Paese..." .
Ed e' a questo punto che sorge un "ma", perché se William Shakespeare ha avuto per secoli l'ultima parola su questo re passato alla storia come la quintessenza dell'inganno e del male, contraddicendo persino sé stesso, - I am a villain. Yet I lie. I am not. Sono un furfante. Ma mento, non lo sono - , ci voleva la costanza e l'arguzia di una donna per restituire allo sventurato principe, che altro non fu, se non un uomo del suo tempo, un riposo dignitoso, e una restituita onorabilita'.
 
 


Questa donna ha un nome, Philippa Langley, ed e' andata sulle tracce della sua sepoltura, nel giardino del convento dei Greyfriars di Leicester, su cui oggi sorge nientepopodimeno che un parcheggio. " So che puo' sembrare folle sentirlo, ma quando ho visto quel parcheggio mi sono intrufolata sotto la rete, e davanti ad un posteggio in particolare, ho avuto la fortissima sensazione di stare camminando sopra alla tomba di Riccardo III ". E' il 25 agosto del 2015, quando gli archeologi dell'universita' di Leicester scoprono, nel punto in cui doveva trovarsi il coro della chiesa, i resti dello scheletro di un maschio adulto, dagli evidenti segni di scoliosi, e numerose ferite sul cranio, compatibili con la morte in battaglia.
 


Ma questo e' soltanto l'inizio di un'indagine scientifica che ha del prodigioso, e che conduce all'identificazione di quel cadavere " al di la' di ogni ragionevole dubbio". Si tratta di Riccardo III.

Ad annunciarlo, tra gli applausi, Richard Buckley, uno degli archeologi del team di Leicester, che ha tolto finalmente la maschera ad uno dei personaggi piu' enigmatici e controversi della storia d'Inghilterra, che ha riposato per piu' di cinque secoli al riparo da sguardi indiscreti, sotto un parcheggio riservato del comune di Leicester. Determinanti, oltre alle analisi forensi che hanno permesso di individuarne la conformazione fisica, riconducibile alla descrizione enfatizzata fattane da
Shakespeare, la datazione al carbonio 14, che ha datato i resti in un periodo compreso tra il 1455 e il 1540, e l'analisi del DNA mitocondriale, estratto dal cadavere, e comparato con un discendente della sorella di Riccardo, Anna di York, l'ignaro Michael Ibsen, cittadino canadese, commerciante di arredamento, che ne ha permesso l'inesorabile, indiscutibile, clamoroso riconoscimento. A destare grande impressione, anche le ferite rinvenute sul cadavere, di cui otto soltanto sul cranio, e di cui due potenzialmente fatali, a conferma della versione riportata dalle cronache dell'epoca, e accreditata dallo stesso verso shakespeariano, il re, disarcionato da cavallo, che sprofondava nella palude, e accerchiato dai colpi nemici. Una morte onorevole, dunque, per un uomo che fu, anche a detta degli stessi detrattori, un cavaliere senza paura, e che avra', dopo aver riposato sotto colate di cemento, una sepoltura piu' appropriata,
indubbiamente piu' gradita ad un sovrano a cui Shakespeare fece pronunciare terribili, quanto altisonanti parole : " Ho tramato complotti d'ogni genere, ho iniettato negli animi il veleno con profezie, calunnie, fantasie, per seminare mortale inimicizia".  

Dopo celebrazioni lunghe cinque giorni, che hanno richiamato nel cuore della vecchia Inghilterra persone provenienti da tutto il 
mondo, oggi, 26 marzo 2015, Riccardo III verra' inumato in un sepolcro di pietra bianca nella cattedrale di Leicester, dopo che un giudice dell'Alta Corte britannica, Sir Charles Haddon Cave, ha stabilito debba avere sede il suo riposo terreno, ponendo fine ad una travagliata controversia giudiziaria sul luogo di
sepoltura, che a molti ha ricordato la leggendaria guerra delle due rose. Ad accompagnare il sovrano nel suo ultimo viaggio terreno,
 
 

oltre ad un messaggio di Sua Maesta' la regina Elisabetta II, le rose bianche, simbolo della casata degli York, e il motto che scelse per il suo stemma, Loyaulte me lie, la lealta' mi lega, a ricordarci, dopo un'avventura lunga 529 anni, che, come disse Voltaire, ai vivi dobbiamo rispetto, ai morti la verita'...    



martedì 7 ottobre 2014

The Enchanting Audrey, terza parte






                                                       The enchanting Audrey

                                  Terza parte




" Ho fatto le prove per questo lavoro per quarantacinque anni, e infine l'ho ottenuto.
Mi sono sempre sentita impotente davanti alle immagini tremende che vedevo in
televisione.
Mi e' stata offerta l'opportunita' di fare qualcosa.
Mi e' stato dato un privilegio enorme, quello di dare voce ai bambini che non possono parlare per sé stessi. E' un compito facile, perché i bambini non hanno nemici.
Salvare un bambino e' una benedizione.
Salvarne milioni e' un'opportunita' offerta da Dio ".
Tutto era cominciato nell'ottobre dell'87 da un'idea di Rob, e con un viaggio in Estremo Oriente.
A Macao, parteciparono al Festival Internazionale di Musica, in cui era programmato un concerto per Unicef.  Su suggerimento di uno dei suoi cugini, ex ambasciatore olandese in Portogallo, scrive un discorso da pronunciare davanti al pubblico del festival.
" Per esperienza personale, posso testimoniare l'importanza dell'Unicef per i bambini.
A lungo ho provato gratitudine per loro, e fiducia in quello che fanno ".
Le sue parole, concise e sentite, colpiscono James Grant, allora direttore dell'Unicef, che ne riconosce la vocazione per i bambini.
Da Macao, lei e Rob proseguono per Tokyo, per partecipare ad un nuovo concerto per l'Unicef, organizzato dall'Orchestra Filarmonica Mondiale.
" E fu cosi' che venne da noi ", racconta Christa Roth, coordinatrice di Unicef e ambasciatrice di buona volonta', che incontra Audrey per la prima volta in Giappone, e di cui sarebbe divenuta intima amica.
" Era cosi' naturale, rilassata, bella, non aveva nulla della primadonna, mi mise subito a mio agio. Era inevitabile che tutti l'ascoltassero, e lo fecero.
Era li' soltanto per aiutare una causa in cui credeva.
Disse che se c'era la possibilta' di prestare il suo nome e la sua fama all'Unicef, in modo da aiutare il nostro operato, voleva farlo.
Ecco come comincio'... ".






Il 1° marzo 1988, Audrey presento' formale richiesta per essere accolta come ambasciatrice di buona volonta' dell'Unicef.
Quello che vuole, e' un ruolo attivo, non soltanto di prestare la propria immagine.
C'e' un emergenza in Etiopia, e vuole partire.
Dopo quel primo viaggio, in cui vedra' da vicino e tocchera' con mano le proporzioni dell'orrore, comincia la sua missione instancabile che, nel corso dei cinque anni successivi, la portera' nei luoghi del mondo dimenticati da Dio.
" Mi mandano sempre in posti sconosciuti. L'Unicef dice: Volete andare in Etiopia? c'e' una siccita' peggiore di prima, non riusciamo ad attirare l'attenzione dei media, e non troviamo del denaro.
Allora io parto.
So che funziona. C'e' curiosita' intorno alla mia persona, e io la sfrutto.
Promuovere Audrey Hepburn non mi interessa piu'.
Sono felice di avere un nome famoso, perché lo uso per quello che vale...".









" Mi si e' spezzato il cuore ", dice in una conferenza stampa a Londra, al suo ritorno dall'Etiopia.
" Non posso sopportare l'idea che due milioni di persone stiano morendo di fame.
Il termine terzo mondo non mi piace, perché siamo tutti parte di un mondo solo.
Voglio che tutti sappiano che la maggior parte degli esseri umani sta' morendo ".
Lei e Robert gireranno il mondo, inseguendo un sogno, viaggiando con aerei militari, seduti su sacchi di riso.
" Non chiese alcun trattamento speciale, e non lo ricevette ", ricorda Christa Roth.
" Tutto quello che abbiamo fatto, l'abbiamo fatto insieme. Robert ha a cuore questa missione quanto me ".
" Ogni volta, prima di partire, ponderava come fare la differenza ", ha raccontato Robert Wolders.
" Studiava senza sosta, e divenne informatissima. Non cercava pero' di essere Madre Teresa, o di mettersi in lizza per la santita' ".
Quando era a casa, leggeva e si documentava sulle condizioni del paese che avrebbe visitato.
" Non puoi alzarti e dire Oh, sono contenta di essere qui, amo i bambini... No, non basta sapere che c'e' stata un'alluvione in Bangladesh e che settemila persone hanno perso la vita.
Perché c'e' stata un'alluvione? qual è il retroscena? perché e' uno dei paesi piu' poveri? come sopravviveranno ? stanno ricevendo abbastanza aiuti? quali sono i loro problemi? ".








" Abbiamo a che fare con minacce molto piu' sinistre delle malattie e della morte ", dichiara nell'aprile dell'89. " Abbiamo a che fare con il lato oscuro dell'umanita': egoismo, violenza, avidita'.
Tutto questo ha inquinato i nostri cieli, svuotato gli oceani, distrutto le foreste, e portato all'estinzione migliaia di animali bellissimi. Adesso tocca forse ai nostri figli?
Non basta vaccinarli, dare loro cibo, acqua, e curare soltanto i sintomi della tendenza dell'uomo a distruggere tutto quello che ci e' caro.
Sia che si tratti di carestia in Etiopia, poverta' in Honduras o Guatemala, disordini civili nel Salvador o massacro etnico in Sudan, ho visto soltanto una verita' lampante: questi non sono disastri naturali, ma tragedie create dall'uomo, per le quali ci puo' essere una soluzione soltanto:
la pace " .






Quando viene ricevuta dalla commissione per le operazioni estere della Camera americana, e da quella per la fame nel mondo, afferma senza indugio : " Non c'e' carenza di risorse umane,
c'e' soltanto carenza di volonta' ".
" Da che mondo e' mondo, esiste l'ingiustizia.
Ma e' un unico mondo, e lo e' sempre di piu' man mano che diventa piu' piccolo, piu' accessibile. Non vi e' dubbio alcuno che sussista un obbligo morale, per coloro che hanno di piu', a dare a coloro che non hanno nulla ".
" Sono rimasta molto impressionata dalla gente dell'Etiopia e dalla loro bellezza, dignita', pazienza, volonta' e desiderio di aiutarsi, non starsene soltanto seduti ad aspettare. Meritano sostegno non soltanto perché sono le persone piu' povere del mondo, e quelle che ricevono meno aiuti, ma perché sono un popolo coraggioso, e fanno tantissimo per sé stessi ".
" Non ci sono striscioni che dicono Questo e' un progetto dell'Unicef. La cosa importante e' che, con la vanga che l'Unicef puo' dare loro, scavino un pozzo. Quello di cui dobbiamo essere sicuri, e' che non usino la vanga per scavare la fossa ai loro figli ".
" C'e' un'emergenza spaventosa, qui, adesso ", dichiara al Time. " Come diceva Gandhi, le guerre non si vincono con le pallottole, ma con un cuore sensibile...
Penso che, come aiutiamo i nostri figli, possiamo farlo anche per tutti quei bambini silenziosi che ho visto ieri, e oggi, al campo profughi.
Credo che aiutare quei bambini sia un nostro sacro dovere ".
" Non credo nella colpa collettiva, credo nella responsabilita' collettiva ".








I riconoscimenti che riceve in tuto il mondo, la imbarazzano.
" Questo mi imbarazza. E' perché sono conosciuta e sono sotto luce dei riflettori che mi viene attribuito tutto il merito. Ma se soltanto poteste conoscere qualcuna delle persone che permettono all'Unicef di mantenere in vita dei bambini, mi attribuireste meno valore.
Sono loro che fanno il lavoro, persone anonime di cui non conoscerete mai il nome... Io almeno ricevo un dollaro l'anno, loro no! ".
" Il mio compito e' informare, sensibilizzare. Sarebbe bello essere esperta di educazione, di economia, di politica, religione, tradizioni, cultura. Non sono nulla di tutto questo.
Pero' sono una madre, e intendo viaggiare ".
La dichiarazione che ha tenuto come Goodwill Ambassador, davanti ai membri dello staff delle Nazioni Unite, il 13 giugno 1989 a Ginevra, rappresenta uno dei momenti piu' alti di semplicita' ed efficacia, fragilita' ed intensita', che abbia toccato nella sua vita e nella sua missione, arrivando con il suo messaggio dritta al cuore...








" Soltanto fino a diciotto mesi fa, prima che mi fosse concesso lo straordinario privilegio di diventare volontaria Unicef, ogni volta che vedevo alla televisione o leggevo dell'indescrivibile miseria dei bambini dei Paesi in via di sviluppo e delle loro madri, mi sentivo sopraffatta da un senso di disperazione e di impotenza.
Se oggi mi sento meno impotente, e' perché ho visto che cosa si puo' fare e che cosa viene fatto dall'Unicef, da molte altre organizzazioni, dalle chiese, dai governi, e ancor di piu', con quel poco che viene dato, dalla gente stessa .
Eppure, dobbiamo fare di piu' per lo stato allarmante in cui versano i bambini del mondo in via di sviluppo, alcuni dei quali stanno a malapena sopravvivendo, specialmente sapendo che le risorse finanziarie necessarie sono minime, se raffrontate alla spesa globale del nostro mondo sviluppato, e sapendo che con meno della meta' dell'uno per cento dell'economia mondiale odierna, si potrebbero sradicare completamente gli aspetti piu' gravi della poverta', e far fronte ai bisogni di base per i prossimi dieci anni.
In altre parole, il deficit non sta' nelle risorse, sta' nella volonta'.
Purtroppo c'e' un estremo bisogno di qualcuno che prenda le difese dei bambini, di questi bambini minacciati dalla malnutrizione, dalla malattia, dalla morte.
Non c'e' bisogno di essere un guru dell'alta finanza per guardare quei visini sparuti, quegli occhi sbarrati, e capire che questo e' il risultato di una grave mancanza di cibo, di cui uno dei sintomi peggiori e' la carenza di vitamina A, che causa lesioni alle cornee, risultanti nella cecita' totale o parziale, seguita in poche settimane dalla morte.
Ogni anno ce ne sono almeno 500.000 casi in Paesi come lndonesia, Bangladesh, India, Filippine, Etiopia.
Ogni giorno ci sono milioni di bambini che rischiano di rimanere ciechi. (...).
Conosco l'Unicef da moltissimo tempo. Perché, quasi quarantacinque anni fa', sono stata una delle decine di migliaia di bambini affamati nell'Europa devastata dalla guerra che vennero soccorsi dall'Unicef dopo la liberazione. Quella liberazione che fugo' i fantasmi della fame, della repressione e della continua violenza.
Eravamo stati ridotti ad una poverta' quasi totale, come avviene oggi nel mondo in via di sviluppo.
Perché la poverta' e' alla base della loro sofferenza, il non avere : non avere i mezzi per aiutarsi da soli. Ecco quello che fa' l'Unicef, aiutare la gente ad aiutarsi da sola e dar loro le possibilita' per uno sviluppo autonomo.
L'effetto dell'enorme peso del debito nei Paesi in via di sviluppo, ha reso i poveri sempre piu' poveri ed e' ricaduto in maniera ancora piu' pesante sui piu' bisognosi.
I piu' danneggiati sono stati donne e bambini.
Contrariamente alla siccita', alle inondazioni, ai terremoti, la tragedia della poverta' non puo' essere facilmente catturata dai media per essere portata all'attenzione del pubblico mondiale.
Non avviene in un luogo definito, ma nelle baracche, nelle capanne e nelle comunita' rurali abbandonate, da un continente all'altro. Non avviene in un momento specifico, ma durante lunghi anni di peggioramento, che non fanno la prima pagina dei quotidiani, ma che cambiano in maniera irreversibile milioni di vite.
E non avviene per una causa ben precisa e visibile, ma per il continuo dramma economico nel quale le nazioni industrializzate giocano un ruolo primario, un dramma che sparge miseria umana a un livello e con una gravita' che non ha precedenti nell'era del dopoguerra. (...).
Dunque, oggi io parlo per quei bambini che non possono parlare per conto loro, bambini che diventano ciechi per la mancanza di vitamine, bambini lentamente mutilati dalla poliomielite,
bambini che stiamo perdendo in tante maniere diverse per la mancanza d'acqua, per quei 100 milioni di bambini di strada nel mondo, che non hanno altra scelta se non lasciare casa per sopravvivere, che non hanno assolutamente nulla se non il proprio coraggio, i propri sorrisi, i propri sogni;
per i bambini che non hanno nemici, ma che sono le prime vittime delle guerre, guerre non combattute sui campi di battaglia, ma che vengono portate avanti a suon di terrore, intimidazioni, massacri, bambini che crescono circondati dalla violenza.
Il compito dell'Unicef è ancora maggiore, che sia quello di rimpatriare milioni di bambini in Afghanistan o insegnare a giocare a dei bambini che finora hanno imparato soltanto ad uccidere.
Charles Dickens ha scritto " Nel loro piccolo mondo, in cui i bambini conducono la loro esistenza, nulla viene percepito piu' nettamente e profondamente dell'ingiustizia ".
Un'ingiustizia che possiamo scongiurare soltanto dando piu' di noi stessi, eppure spesso siamo esitanti davanti a questa tragedia apocalittica. Perché, quando esistono, anche a basso costo, i mezzi per salvaguardare e proteggere questi bambini?
Sta' ai leader, ai genitori, ai giovani, che hanno quella purezza di cuore qualche volta offuscata dall'eta', ricordare la propria infanzia, e soccorrere coloro la cui vita e' cominciata in situazioni cosi' pesanti.
I bambini sono la nostra risorsa piu' vitale, la nostra speranza per il futuro.
Fino a che non verra' loro assicurata la sopravvivenza fisica oltre i primi fragilissimi anni di vita, e finche' non saranno finalmente liberi dall'abuso emotivo, sociale e fisico, non sara' possibile sognare un mondo senza tensioni né violenza.
Ma sta' a noi renderlo possibile.
Il vostro un per cento e' un esempio del cento per cento, ma soprattutto e prima di tutto e' un bellissimo esempio di amore per noi tutti.
Insieme non c'e' nulla che non possiamo fare ".







Il 22 aprile 1991, la Film Society del Lincoln di New York offre ad Audrey Hepburn il suo tributo.
" Penso che sia stata una cosa meravigliosa ", dice alzandosi dopo un lungo applauso, " che una donna scheletrica come me abbia potuto diventare un successo commerciale ".
Schernendosi, aggiunge " Quando vedi quello che accade nel mondo, e' talmente insignificante parlare di sé, del proprio aspetto. Sono contentissima di quello che Dio mi ha dato, ma c'e' molto altro, tantissimo che devo fare ! ".
Da quell'anno, il '91, la sua vita non e' piu' la stessa. Un'urgenza insopprimibile l'attanaglia.
" Ho 62 anni, e la mia grande ambizione e' di non avere null'altro da fare che dedicarmi ai pomodori e alle rose, stare con i miei cani. Uno di questi giorni lo faro', ma non ancora, non prima di sapere che i miei bambini sono amati in tutti i paesi...".
Nel 1992 la sua ultima missione, la piu' importante.
La Somalia...






" Sono tornata sempre piu' arrabbiata verso noi stessi, sempre piu' addolorata, sento il dolore piu' a fondo...
Talvolta e' impossibile non pensare che Dio si sia dimenticato della Somalia. Ha tanto da fare! La Somalia e' stata abbandonata a sé stessa, cancellata dalla carta geografica. Oggi, grazie agli sforzi giganteschi di un pugno di uomini che vi costringono a credere alla bonta' e alla compassione umana, non e' piu' isolata ".
Nel settembre del'92, dopo quasi un anno di attesa, Audrey e Rob atterrano a Mogadiscio, senza visto d'entrata. Non c'e' un governo che possa rilasciarlo. Si prende un aereo, si atterra, si spera di non essere presi a fucilate.
In un Paese dilaniato dalla guerra civile, dalla siccita', dall'anarchia, si porta negli occhi un inferno che non dimentichera' fino alla fine.
" Il Paese e' nell'anarchia totale ", afferma al rientro, " non ci sono infrastrutture, dopo quattro anni di un'atroce guerra civile. Pensavo di essere preparata a quello che avrei visto, ma niente puo' prepararti a quello che in concreto vedrai.
Quella che e' un'astrazione nelle pagine scritte, diventa un'orrenda realta' di persona.
Dall'aereo ho visto centinaia di tombe, intorno ogni insediamento, ogni villaggio. Lungo le strade, ci sono animali morti, persone che camminano come fantasmi, e bambini, migliaia, decine di migliaia, vivi soltanto a malapena. Ogni giorno ne muoiono a centinaia a causa della fame.
Scompaiono lentamente, senza la forza di schiacciare le mosche che gli infestano la faccia e gli occhi... ".
 Oltrepassano il confine meridionale, entrano in Kenya.
" Era un incubo. Bambini magri, di tutte le eta', piccoli e piu' grandi, che a me sembravano gia' morti. E i loro occhi erano come grandi pozze di... domande.
Ti guardano con una tale... non so come dirlo... come se chiedessero perché... Alcuni non hanno luce negli occhi. Quasi tutti rifiutano il cibo, non vogliono piu' mangiare, o non sono in grado di farlo.
E' inaccettabile vedere quei bambini morire sotto i tuoi occhi.
C'erano cinquantacinquemila persone in un campo profughi, la meta' erano bambini, e morivano
di fame davanti a te' ".
" Per definizione, la politica dovrebbe occuparsi delle persone, del benessere della gente.
Non credo alla colpa collettiva, ma credo in una responsabilita' collettiva.
La Somalia e' una nostra responsabilita'.
E' certamente una responsabilita' degli inglesi e degli italiani, perché l'hanno colonizzata.
Questi due popoli dovrebbero fare di piu', hanno un obbligo verso quelle persone, dalle quali hanno tratto beneficio per cosi' tanti anni.
Umanitario significa " che garantisce il benessere dell'umanita' ", vuol dire reagire di fronte alla sofferenza umana.
Di questo dovrebbe occuparsi la politica, in un mondo ideale.
E' il mio sogno.
Pensateci: quarantamila somali vivono in campi profughi. Sono fuggiti dalla guerra, dalla fame, e' come se fossero venuti qui soltanto per morire... questo e' davvero l'inferno ".
" Ecco perché uso questo esempio, che probabilmente rimarra' unico nella storia: sono gli aiuti umanitari a tenere a galla la Somalia. Penso che forse, con il tempo, invece di una politicizzazione degli aiuti umanitari, ci possa essere una umanizzazione della politica.
Sogno il giorno in cui saranno la stessa cosa.
E questa e' una delle ragioni per cui ho insistito per andare in Somalia, non perché io sia in grado di fare molto, ma perché i testimoni non sono mai abbastanza.
Se ce ne potra' essere anche uno soltanto in piu', e parlare per conto di quei bambini,
ne sara' valsa la pena... ".






Durante uno dei suoi viaggi, accadde un episodio che la segno' profondamente.
Quando arrivava nei campi profughi, a bordo di un'aereo, nessuno sapeva chi fosse quella donna diafana che emanava una luce speciale nello sguardo.
Un giorno, mentre stavano visitando una baracca in cui si era formata una lunga coda di bambini in attesa di una ciotola d'impasto di avena portata dall'Unicef, una bambina era assorta a guardarla, estatica alla vista di quella sconosciuta che aveva visto mostrare umanita' verso gli altri bambini.
Man mano che la fila si accorciava, portandola piu' vicina a quell'unico pasto, la bambina lasciava trasparire quel conflitto tra la fame di cibo e la fame d'amore, indecisa tra il piatto e un' abbraccio.
Quando giunse alla fine della coda, e i loro sguardi si erano incontrati, dopo aver dato un'occhiata a quel piatto, d'impeto lascio' la fila, per correre tra le braccia di quella donna che le offriva in quel momento un senso inspiegabile di speranza e sicurezza, come puo' darlo soltanto una madre.
Il bisogno d'affetto aveva vinto sul bisogno di sopravvivere...






Robbie e Jhon Isaac, fotografo dell'Unicef che li aveva accompagnati, uno dei grandi fotografi che hanno ripreso le missioni di Audrey nel mondo, raccontavano quell'incontro con le lacrime agli occhi.
Per la prima volta Jhon, di fronte all'intensita' di quel momento, non fece nessuno scatto...
A Kismaiu, in uno dei primi campi che aveva visitato in Somalia, era accaduto un altro episodio che le era rimasto impresso nell'anima.
Avvolta soltanto in un lembo di stoffa blu, e circondata da uno sciame di mosche, una bambina cieca stava cercando di raggiungere l'accampamento medico, aggrappandosi al recinto del campo.
Audrey si avvicino', cercando di confortarla, di aiutarla a trovare la strada, ma il sorriso si spense sul volto della bambina, sostituito da una profonda durezza, la consapevolezza di essere una rinnegata, di essere stata abbandonata al suo destino.
Quella era la fame d'amore che non poteva essere alleviata, come Audrey l'aveva descritta. 
" L'abbandono e l'umiliazione di un bambino da parte  di un adulto, uccide qualsiasi fiducia, qualsiasi speranza, qualsiasi possibilita' ".
Il silenzio dell'anima...












Dal suo ritorno dalla Somalia, Audrey aveva cominciato a lamentare dolori allo stomaco.
Un dolore lancinante la lacera, ma, instancabile, non si ferma.
" Non e' ancora tempo di riposarsi ", risponde invariabilmente, a chi la supplica di fermarsi.
Nonostante i medici locali avessero attribuito i dolori ad un'infezione, prima di tornare in Svizzera lei e Rob fanno tappa a Los Angeles, dove Audrey viene ricoverata al Cedars Sinai Medical Center per accertamenti.
Il 1° novembre viene operata d'urgenza per un cancro al colon.
" Non stava bene da molti mesi ", ha ricordato Givenchy, " ma era convinta di aver contratto un'amebiasi nei paesi del Terzo Mondo. E' in questo stato d'animo che ha consultato un medico.
E' stato necessario informarla della verita', aveva un cancro ad uno stadio molto avanzato.
Allora, mi ha detto " Vedi, e' grazie ai bambini che potro' essere curata. Se non avessi creduto di avere un'amebiasi, non avrei consultato un medico ". Voleva sempre vedere il lato positivo delle cose, e per lei, il lato buono, non poteva venire che dai bambini...".
Dopo il primo intervento, il cancro sembra sconfitto.
" Ho paura di morire ", dice agli amici che vanno a trovarla, " ma mi spaventa di piu' quello che accadra' a quei poveri bambini ".
Dieci giorni dopo, puo' uscire dall'ospedale. Connie Wald, la sua migliore amica, l'accoglie in quella che considera la sua casa di Los Angeles ogni volta che arriva in California, come quando era arrivata la prima volta, dopo aver girato Vacanze Romane. La loro amicizia era nata allora.
Il primo trattamento di chemioterapia non desta particolari effetti collaterali, e puo' essere ripetuto dopo una settimana.
D'improvviso, un' occlusione intestinale la costringe ad un secondo intervento, ad un mese di distanza dal primo, il 1° dicembre 1992.
Dopo meno di un'ora, il chirurgo convoca i familiari in una stanza adiacente la sala operatoria.
La malattia si e' estesa in maniera esponenziale, la situazione e' destinata a degenerare rapidamente.
La speranza, fino a quel momento appesa a un filo, crolla definitivamente in quell'istante.
" Un essere umano di tale valore...", riesce soltanto a mormorare Robbie.
" Che peccato ", dice con calma Audrey, fissando lo sguardo lontano, quando Sean le riferisce che un secondo intervento non puo' essere tentato.
Il mondo, scosso di fronte all'evolversi degli eventi, attende incredulo.
" Audrey lotta coraggiosamente, ma il cancro sta' vincendo ".
Nell'oscurita' della stanza del Cedars, ripensa alla bambina che era venuta ad abbracciarla quel giorno di qualche mese prima, in Somalia.
Ha appena saputo che le truppe americane portano finalmente rifornimenti di cibo ai suoi bambini.
" Sono grata di aver potuto vivere fino a ora per vedere questo giorno ", sussurra a Rob, al suo capezzale, al quale affida le sue ultime volonta'.
 Tornare a La Paisible...




I medici temono che le variazioni di pressione nella cabina dell'aereo, durante il decollo e l'atterraggio possano causarle una peritonite, e conseguente setticemia, letale in meno di un'ora.
Grazie all'intervento di Hubert de Givenchy, un jet privato la riporta in Svizzera.
 " Oh, Hubert, sono cosi' commossa...", riesce soltanto a dirgli al telefono nel ringraziarlo, sopraffatta dall'emozione.
" Mi ha detto che sono stata tutto per lui nella vita...", dice a Sean con uno sguardo da bambina, dopo aver riagganciato.
Il 20 dicembre arriva in Svizzera.
 " Siamo a casa! ", sussurra , mentre le ruote dell'aereo toccano la pista dell'aeroporto di Ginevra.
In quell'angolo di paradiso, vive istanti preziosi.
Ogni giorno, lei e Robbie passeggiano nel giardino de La Paisible.
Era primavera la prima volta che aveva visto quella villa settecentesca, circondata dai ciliegi in fiore, salendo sul cofano dell'auto che lei e Mel avevano affittato.
Vivevano ancora a Burgenstock all'epoca, e con una cesta di panini e il thermos pieno di tea prendevano il treno da Lucerna a Losanna per andare a caccia di case.
Non aveva mai dimenticato quella sensazione di essere finalmente a casa...
" Il mio unico desiderio per Natale è la pace ", dice in quello che definisce il miglior Natale della sua vita, circondata da puro amore. " Specialmente per i bambini di tutto il mondo.
Soltanto allora l'acqua che diamo loro plachera' la sete, il cibo nutrira' i loro corpi, le medicine li guariranno. Soltanto allora vivranno per giocare e imparare, per essere amati ".
Gli amici intimi vengono a trascorrere le festivita' a La Paisible.
" Per quanto fosse debole, prese un cesto e distribui' regali a tutti i presenti, dei ricordi personali ", ha rammentato Christa Roth. " A me diede un foulard bianco e nero di Givenchy ".
Arrivo' anche Hubert da Parigi.
Audrey chiese a Rob di prendere una giacca da un'armadio.
" Prendi quella blu, Hubert ", disse allo stilista con un filo di voce.
" Il blu e' il tuo colore ".
Prese in mano la giacca, la bacio' e la porse all'amico.
" Spero che la terrai per tutta la vita...".
Nelle fredde e soleggiate giornate di gennaio, passeggia nei suoi giardini, godendosi i raggi dell'ultimo sole d'inverno.
" E' delizioso...", sussurra.
" Una volta mentre camminavo con lei, mi fece vedere quali alberi avrebbero dovuto essere potati l'anno successivo ", ricorda Sean. " Questo va ancora bene per i prossimi anni, ma quell'abete cosi' alto ha bisogno di sostegno in mezzo al tronco. I suoi rami sono troppo lunghi e non reggeranno la neve di un altro inverno ".
Quegli alberi avevano centinaia di anni. Nei mesi successivi seguìi i ogni suo consiglio, e quanto mi fece sentire vicino a lei ! Era come se ci fosse ancora in quella casa che aveva significato tanto per lei...".
" Nei mesi precedenti, avevo letto alcuni libri molto significativi sul tema della guarigione spirituale e della volonta' di vivere. Mi avevano fatto comprendere quanto sarebbe stato difficile per lei combattere, scegliere la vita soltanto per sé stessa.
Le chiesi di farlo per noi, di cercare di stare meglio per tutti noi, per la sua famiglia.
" Questo e' facile ", disse, " posso farlo. L'unico problema e' che non so come riattacare il sopra e
 il sotto...".
Dopo l'ultima passeggiata in giardino, tre giorni prima di andarsene, salendo le scale confessa di sentirsi stanca.
Comincia a sprofondare in stati di incoscienza, dormendo per ore di seguito, in modo discontinuo.
Madre Teresa di Calcutta indice una veglia di preghiera di ventiquattr'ore nella sua missione.
" Sei il miglior marito che ho avuto, anche se non lo sei stato ufficialmente...", sussurra a Rob.
Il 20 gennaio comincia come ogni altro giorno.
Sotto l'effetto della morfina, si sveglia per qualche minuto alla volta.
La notte precedente, si era svegliata nel cuore della notte ed era rimasta sveglia, guardando lontano...
Sean e' accanto a lei.
" Le avevo chiesto cosa provasse e come si sentisse, se c'era qualcosa di cui aveva voglia di parlare.
Poi, le ho chiesto se avesse qualche rimpianto.
" No... ma non riesco a capire il perché di questa sofferenza... per i bambini ".
E aveva aggiunto " Sì, ho un rimpianto. Rimpiango di non aver mai incontrato il Dalai Lama.
E' la persona piu' vicina a Dio che abbiamo su questa Terra. Cosi' pieno di spirito... di compassione, di umanita'...".






" Mi stanno aspettando... gli Amish, gli angeli, lavorando nei campi...", dice quel 20 gennaio.
" Non sapevamo cosa volesse dire. Aveva detto che erano la', ad aspettarla. Li aveva descritti come un gruppo di Amish, in un campo, che l'aspettavano, alla sinistra del letto.
Quando le avevamo chiesto se potesse dirci di piu', aveva risposto dolcemente.
" Non potete capire. Forse capirete piu' tardi...".
Quel pomeriggio, Sean cammina fino al cimitero di Tolochenaz.
Lungo il muro, vicino ad uno dei lotti disponibili, vede un ciliegio, nel punto piu' alto di quel terreno digradante, da cui si gode una vista dolcemente malinconica del Giura, tanto amato da Audrey...
Immagina quella vista in primavera, con il ciliegio in fiore.
Raggiunge il Comune. Il sindaco, suo vecchio amico, tira fuori un libro da uno scaffale.
Guardano la mappa del piccolo cimitero. Sean indica il lotto numero 63.
" Mi disse che sarebbe costato 275 franchi svizzeri, e che sarebbe rimasto nostro per i prossimi cinquecento anni. E quanto costerebbe averlo per sempre, gli chiesi. Sarebbero 350 franchi, rispose.
Pensai quanto fosse bello che, in questo piccolo villaggio di ottocento anni, 
il prezzo dell'eternita' fosse soltanto di 75 franchi...".
Quanto ritorna a La Paisible, si siede accanto a Audrey, le racconta della vista e del ciliegio.
" Sentìi che era d'accordo ".
Mentre il pastore Eidinger, che aveva celebrato le nozze tra Audrey e Mel, e battezzato Sean, legge un brano della Bibbia, Rob, Luca, Sean e sua moglie si tengono per mano.
" Il sole irruppe attraverso le nuvole e filtro' dalle finestre.
Ci abbracciammo tra noi, la baciammo teneramente e tornammo al piano di sotto.
Mi sedetti con tutti quanti, uno dopo l'altro, raccontando la storia del cimitero, della vista, del ciliegio in fiore e del prezzo dell'eternita'.
Ascoltarono tutti in silenzio.
Quando ebbi terminato, chiesi ad ognuno se si sentisse in pace.
Dissero di si'.
L'ultimo con cui mi misi a sedere fu Robby. Una volta finito, chiesi anche a lui se fosse in pace. Rispose di si'.
E nel momento in cui le sue labbra si richiusero, suono' l'interfono dal piano di sopra.
Era Giovanna, la cameriera e amica di mia madre da trentacinque anni.
Riuscì a dire " Venite, presto". Corremmo di sopra ".
Se ne era andata, mentre era sola.
Sorrideva, con quel sorriso tutto suo, e una piccola lacrima incastonata che brillava come un diamante.
Il dolore che aveva devastato il suo corpo sofferente, aveva lasciato il posto alla bellezza,
alla serenita', alla dignita', alla compassione che l'avevano accompagnata lungo un'esistenza difficile e straordinaria.
" Prima delle esequie, ho avvertito in casa un odore di mele ", ha ricordato Hubert de Givenchy.
" Ho voluto sapere da dove venisse, e ho interpellato un domestico.
Una parte della cantina era riempita del raccolto dell'autunno precedente e stava per essere inviata,  come ogni anno, all'esercito della Salvezza.
Audrey era cosi', si occupava costantemente degli altri, con molta discrezione e umilta'.
Questa cosa meravigliosa in lei ne faceva un essere quasi immateriale, nonostante gli anni... ".

Durante le esequie, il pastore Endiguer rievoca la bellezza spirituale di Audrey Hepburn.
La sua voce e' spezzata, e si interrompe spesso, per asciugarsi le lacrime.
" E' un angelo in senso biblico.
Anche negli abissi della malattia, ando' a visitare i bambini della Somalia, accarezzandoli con le sue mani.
E sul viso di questi bambini restava il riflesso del suo sorriso...".


" Camminavamo lentamente, come se ogni passo facesse affondare nelle nostre spalle gli spigoli della bara. Guardai in su e il sole mi acceco', ma sorrisi.
Avevo chiamato un vecchio amico di famiglia, colonnello dell'armata svizzera in pensione, chiedendogli se ci fosse un modo per impedire che gli elicotteri sorvolassero sopra di noi il giorno del funerale. Gli dissi di come mia madre fosse rimasta male dopo che i pararazzi a bordo di un elicottero erano comparsi sopra La Paisible.
Rimase in silenzio, e rispose che non sapeva.
Stavo chiedendo di infrangere una regola ad un uomo che non ne aveva mai infranto una in tutta la sua vita.
Non eravamo in Italia o in Francia, dove miracoli di questo tipo sono possibili con una spintarella politica... Eravamo in Svizzera, dove queste cose non accadono.
Venne al funerale, ma non mi chiamo' per confermare se ci fosse riuscito o meno.
Il cielo era vuoto.
Piu' tardi scoprìi che era venuto un ordine dall'alto, non si sa da quanto in alto, e che tutta la zona era stata interdetta al volo tra le dieci del mattino e le quattro del pomeriggio.
Sorrisi. Questa volta li avevamo fermati.
E c'era il sole, dopo settimane grigie e fredde...".







" La mamma credeva in una cosa sopra ogni altra: credeva nell'amore.
Credeva che l'amore fosse in grado di curare, aggiustare, ricucire e portare tutto ad un lieto fine...
e cosi' e' stato.
Ci ha lasciato pieni di pace e serenita', e la sua partenza e' stata quasi priva di qualunque dolore.
Ha detto tante cose cosi' buone e semplici in queste settimane... non le dimenticheremo mai.
Ma una rimane, sopra tutte, cosi' chiara e forte.
L'ultima volta che abbiamo passeggiato in giardino, Giovanni, il nostro giardiniere, e' venuto da lei e le ha detto " Signora, quando stara' meglio verra' ad aiutarmi a potare e piantare di nuovo ".
Gli ha sorriso e gli ha detto " Giovanni, ti aiutero'... ma non come prima ".
La bara sembrava ancora piu' pesante nel tratto tra la chiesa e il cimitero.
Ma non il mio cuore.
Avevamo affrontato la vita e la morte come una famiglia.
Ci aveva detto che era stato il Natale piu' bello della sua vita.
Quando le chiesi perché, mi rispose semplicemente che questa volta era sicura...
Era sicura di quanto l'amavamo ".

" Ripenso alle sue esequie, cosi' simili a lei, semplicissime, senza sfarzo, alla presenza di tutti quelli che l'amavano, famosi o sconosciuti ", ha raccontato un commosso Hubert de Givenchy.
" Sento le parole alla buona del pastore, ascolto le parole ricercate del discorso di Saddruddin Aga Khan, sento anche le parole d'amore che suo figlio Sean ha avuto la forza di pronunciare.
Tutti erano uniti dalla tenerezza e dall'amore.
Malgrado la durezza della sua vita, Audrey aveva saputo mantenere in sé una parte dell'infanzia.
E ha passato la vita a volerci trasmettere questa magia.
Questo ha fatto di lei una fata, una dolce, magica ispiratrice di Amore e di Bellezza.
Fate simili non se ne vanno mai del tutto...".















Dopo essere stata la monella di Gigi, la principessa birichina di Vacanze Romane,
la sognatrice di Sabrina, l'intrepida Natasha di Guerra e Pace, l'esistenzialista sbarazzina di Cenerentola a Parigi, l'intraprendente Arianna di Love in the afternoon, la tormentata suor Luke
di The nun's story, l'eterea Rima di Verdi Dimore, l'inquieta Rachel di The Unforgiven,
l'estrosa Holly di Colazione da Tiffany, l'affascinante avventuriera di Sciarada,
l'eclettica Gabrielle di Paris when it sizzles, l'indimenticabile Eliza Doolittle di
My Fair Lady, la magnetica ladra di How to steal a million, la trasgressiva Joanna di
Two for the road,
Audrey Hepburn ha interpretato il suo ruolo piu' bello, quello di
dare voce al silenzio assordante dei dimenticati del mondo.
Tenera e sofisticata, romantica e irraggiungibile, coraggiosa e delicata, magnetica e malinconica,
 e' stata una donna intelligente e piena di humour, estranea agli standards hollywoodiani grazie ad una personalita' e ad uno stile inconfondibile, rimasto nel cuore di molti, come quel suo
sguardo ingenuo e malizioso, con un pizzico di charme...
E come reagirebbe oggi, vedendo la sua immagine riprodotta in serie sugli oggetti piu' quotidiani comparire da scaffali e vetrine,
lei, che era la discrezione in persona, tanto riservata da sembrare distante, diva inavvicinabile, donna di cuore, sintesi di femminilita' e leggenda senza tempo...?
Come vorrebbe essere rievocata, icona di un mondo che sapeva sognare e far avverare i sogni, oggi,
in uno che non crede piu' di poterlo fare...?





" Innanzitutto, come posso riassumere la mia vita?
Penso di essere stata molto fortunata...
La mia vita è stata molto piu' di una favola, ho avuto la mia parte di momenti difficili, ma
qualunque difficolta' ho vissuto, e' come se ci fosse sempre stata una luce in fondo al tunnel.
La guerra mi ha lasciato una profonda conoscenza delle sofferenze umane, le cose che ho visto durante l'occupazione mi hanno reso molto realista nei confronti della vita e da allora lo sono rimasta. Non sottovalutate niente delle atrocita' che potete sentire o leggere sui nazisti.
E' peggio di quanto possiate immaginare.
Sono uscita dalla guerra grata di essere ancora viva e sicura che i rapporti umani sono la cosa piu' importante, molto piu' della ricchezza, del cibo, del lusso, della carriera o di qualsiasi altra cosa vi venga in mente...
In tutti i miei incubi si mescolano la guerra e la gelida stretta del terrore.
Ho vissuto entrambe.
Le difficolta'  mi hanno spronato. In retrospettiva, sono felice di aver avuto un periodo duro nella mia prima giovinezza. Altrimenti non avrei osato andare avanti.
Sono sempre stata piu' introspettiva che estroversa, ma, quando era necessario, sapevo uscire da me stessa per battermi.
Ho imparato a valutare le mie possibilita' in modo molto ottimista, perché il contrario sarebbe stato semplicemente troppo deprimente.
In realta', non sapevo veramente in cosa mi imbarcavo quando ho persuaso mia madre a partire per Londra, da cui e' cominciata la mia storia. In compenso ero sicura che avrei accresciuto le mie possibilita' facendomi chiamare con il mio nome, Audrey, anziché Edda, come avevo dovuto fare durante l'occupazione. Edda me ne aveva gia' fatte passare troppe...
Volevo fare la ballerina, ma non avevo la stoffa necessaria.
Amavo con passione la disciplina artistica, ma non ero ricambiata!
Ho trovato un altro scopo nella vita.
E ho avuto la grandissima fortuna di essere scoperta da William Wyler...
Sarei stata una pazza a rinunciarvi!
Ho avuto successo, il cinema e' stato importante nella mia vita.
Ma non penso a me stessa come ad un'icona. Non mi sento un'icona.
Quello che e' nella mente delle altre persone, non e' nella mia.
Io faccio soltanto il mio lavoro.
 Se qualcuno mi dice " vedendo uno dei tuoi films il mondo mi e' sembrato meno brutto ",
io sono appagata, ma la mia vita e' sempre stata un'altra, mi piaceva fare la spesa, tornare a casa da mio marito, dai miei figli, i films erano belle favole...
Per questo dico che potrei sopravvivere senza il lavoro, ma non senza la famiglia.
Ecco perché la mia vita privata ha sempre avuto la precedenza.
Ad un certo punto della mia vita, mi sono ritrovata a dover fare una scelta.
Rinunciare al cinema o rinunciare ai miei figli.
Fu una decisione molto facile perché i miei figli mi mancavano troppo.
Quando il mio figlio maggiore inizio' la scuola non potevo portarlo con me sul set,
e siccome questo era troppo duro per me, smisi di accettare film.
Rifiutavo proposte per stare a casa con i miei figli.
Ero molto felice.






Non era come se me ne fossi stata a casa, frustrata, a girarmi i pollici.
Come ogni madre, andavo pazza per i miei figli.
Una cosa che ho sempre provato, e credo di esserci nata, e' l'amore per le persone,
soprattutto per i bambini.
Mi piacevano fin da quando ero piccola, e spesso mettevo in imbarazzo mia madre perch' cercavo di tirar fuori un bebe' dalla culla nel bel mezzo del mercato...
Una cosa che ho sempre sognato e' di avere figli.
Si torna sempre nello stesso punto.
Non soltanto ricevere amore, ma anche desiderare disperatamente di darlo... aver bisogno di darlo.
Sono nata con un grandissimo bisogno di affetto, e un disperato bisogno di darlo.
Questo mi rende felice.
L'amore non mi terrorizza. La sua perdita, sì.
Cosa rende felici le persone? E' come per le impronte digitali, sono tutte diverse.
Personalmente io ho bisogno di molto affetto, di amare e di essere amata.
Di amore  vero.
Il resto viene da sé.
L'amore e' azione, non soltanto parole, non lo sara' mai...
Siamo nati con la capacita' di amare, eppure la dobbiamo sviluppare, come faremmo con qualsiasi altro muscolo.
Per me le cose che contano sono quelle legate al cuore.
Sento fortemente che e' da lì che tutto comincia, dal cuore, dalla bonta'.
Che mondo diverso potrebbe essere se ognuno ispirasse a questo la propria esistenza...
Sono stata un'icona di stile.
La moda riflette i tempi. L'occhio della moda e' un occhio sensibile.
Ma e' importante soltanto se riflette i sentimenti. Non fine a sé stessa.
La bellezza di una donna non dipende dai vestiti che indossa, né dall'aspetto che possiede, o dal modo di pettinarsi.
La bellezza di una donna si deve percepire dal suo sguardo, perché quella e' la porta del cuore, il posto nel quale risiede l'amore.
Ecco perché aumenta con il passare degli anni.
E' come il sex appeal.
Io personalmente so di non averne, quantomeno nel senso classico.
Sono piuttosto buffa e non ho nessuno degli attributi di una diva del cinema.
Eppure posso dire che il segreto del fascino, quello autentico, e' che devi sentirlo dentro di te,
nel profondo.
Si tratta di suggerire, piu' che mostrare.
Si puo' avere molto piu' fascino sulla punta del naso di quanto non ne abbiano delle sirene tutte curve in tutto il corpo.
Si puo' essere molto attraenti e molto femminili completamente vestite, dando una stretta di mano, o raccogliendo mele da un albero, o stando in piedi sotto la pioggia...
Si torna sempre al punto di partenza, tutto deve venire dal cuore.
La semplicita' e la verita' sono le sole cose che contano veramente.
Vengono da dentro. Non si puo' fingere. Non si puo' barare.
E' questo che rende speciali le persone.
Cosa posso dire alle donne di oggi?
Siate forti, coraggiose, lottate quando e' necessario e ricordate...
ogni esperienza racchiude dentro di sé un insegnamento,
che possiate coglierlo e farne tesoro per il futuro.
Siate dolci, semplici, piene di grazia, di femminilita'...
abbiate fiducia prima in voi stesse, e poi negli altri,
e che l'ottimismo vi accompagni sempre!
Un sorriso rincuora sempre, e, badate, non soltanto la persona a cui lo doniamo, ma anche noi stesse.



Sì, avete capito bene, noi stesse... pertanto, cosa aspettate? regalatevi un sorriso.
Non e' cosi' banale come puo' sembrare, puo' essere utile per svariati motivi, scaccia l'amarezza,
porta con sé ottimismo, forza, coraggio e dolcezza. E naturalmente ci rende piu' belle...
Non e' altro che la nostra bellezza interiore che si crea un varco all'interno di noi, che cerca
una via d'uscita...
e allora vi dico, tiriamolo fuori questo sorriso!
Non ve ne pentirete e vi sentirete meglio.
Alcuni ricorrono al grido liberatorio, io al sorriso.
E' il risultato che conta, e a me il sorriso ha donato serenita'.
A tutti vorrei dire che la mia vittoria piu' grande
 e' stata quella di essere capace di convivere
con me stessa, di accettare i miei difetti.
Sono molto lontana dall'essere umano che vorrei essere.
Ma ho deciso che non sono tanto male,
dopotutto...
Infine, lasciatemi dire questo...




Credo nel rosa.
Credo che ridere sia il modo migliore di bruciare calorie,
ridere cura una moltitudine di malattie.
Credo nei baci, molti baci.
Credo nell'essere forti quando tutto sembra andare storto.
Credo che domani e' un altro giorno,
e credo nei miracoli.
Chi non crede nei miracoli
non e' realista...

                                                        Audrey Hepburn