giovedì 23 aprile 2015

                         

                 Happy birthday,
                                  
                               mastro Shakespeare...

  



Quattrocentocinquantun'anni di fascino e mistero...

Compirebbe oggi quattrocentocinquantun'anni, ma decisamente non li dimostra, preso com'e' ad incantarci con le sue parole immortali, che conosciamo tutti, ma proprio tutti, e che tutti abbiamo visto almeno una volta stampate su tazze, t-shirt, borse di stoffa, gadget, magneti, adesivi, poster, se non lette sulle pagine delle migliaia di libri che di lui parlano, o in cui e' lui stesso a parlare. 
Con un seguito di oltre sette milioni di fans sulla pagina Facebook a lui dedicata, e un dono della sintesi da far invidia ai piu' sfegatati cinguettatori di Twitter, nell'epoca del 2.0 e' sempre e ancora lui, il Cigno di Avon, oggetto di una vera e propria Bardolatry, idolatria del Bardo, a tenere banco e a risultare tremendamente piu' contemporaneo della stragrande maggioranza di tanti produttori di prosa e versi contemporanei, e sempre, terribilmente, sul pezzo.
Incoronato icona pop grazie ad un'interminabile sequenza di film, serie televisive, cartoon, che ne hanno reso immortali i personaggi, le gesta, le trame, le citazioni, riletto, rivisitato, rappresentato sui palcoscenici dei teatri di tutto il mondo, William Shakespeare nasce e muore nel giorno dedicato a San Giorgio, patrono d'Inghilterra, il 23 aprile, a cinquantadue anni di distanza, in quello stesso luogo delle Midlands occidentali, Stratford upon Avon, microcosmo divenuto celeberrimo al di la' della Manica, dopo aver dato vita a ben trentasette opere teatrali, prodotto centocinquattasette scritti, introdotto almeno tremila parole, divenute di uso comune nel vocabolario inglese e non solo, ed essere entrato per sempre nella storia come il piu' grande drammaturgo di tutti i tempi.
Decisamente non male, considerando che di lui si sa soltanto che " nacque a Stratford, fece l'attore a Londra, scrisse, torno' a Stratford, fece testamento e morì ". In realta', nonostante il mistero che ne avvolge la leggendaria figura, di lui si sa di piu' che sugli altri drammaturghi contemporanei, potendo affermare, ad esempio, che scrisse sicuramente da solo trentadue delle opere teatrali, nessuna delle quali sopravvive nel manoscritto originale, che nel suo testamento non fu menzionato - stranamente, come i piu' maliziosi fanno notare - nemmeno un libro, e che entro' in contatto con quel Michelangelo Florio, umanista ebreo siciliano emigrato in Inghilterra, divenuto precettore nientepopodimeno che della principessa Elizabeth Tudor, futura Elizabeth I, e di Lady Jane Grey, da cui avrebbe appreso molte delle consuetudini all'epoca vigenti in piccoli paesi della provincia italica, riprese nel suo First Folio, l'opera omnia del Bardo, che difficilmente l'attore di Stratford, divenuto lo scrittore britannico piu' famoso di tutti i tempi, avrebbe potuto conoscere.
Tra un fiorire di leggende e un rincorrersi di ricostruzioni piu' o meno fantasiose - tra cui quella che vede il giovane e sconosciuto attore inglese, deceduto in giovane eta', imparentato con la famiglia siciliana dei Florio, uno dei quali ne avrebbe preso l'identita', o quella secondo cui, dietro a William Shakespeare, attore sì, ma sprovvisto di talento per la scrittura, si celerebbe in realta' un gruppo di autori, che avrebbe dato vita a tutte le opere a lui attribuite - quello che fa' di Shakespeare lo scrittore per tutte le stagioni, capace di arrivare a qualsiasi cuore, e' la potenza della semplicita', il fascino del desiderio, il senso del destino, la ricerca di senso, lo struggimento delle attese, la lusinga del potere, gli sberleffi dell'esistenza, la sensibilita' moderna, in grado di rappresentare le eterne figure della commedia umana su quel grande palcoscenico chiamato vita. Giulietta, Ofelia, Desdemona, Ermione, Otello, Re Lear, Riccardo, Shylock, Amleto, Macbeth, amore, desiderio, passione, ambizione, malvagita', rimpianto, paura, speranza, parlano ad ognuno e di ognuno, in un eterno gioco di specchi in cui ognuno rivede sé stesso, sognando per un istante di impersonare quel segreto immortale che Shakespeare ha portato con sé, blow them to the moon...


Quattrocentocinquantuno di questi anni, Mastro Shakespeare...

mercoledì 25 marzo 2015

                                               

                                      Now is the winter of our
                          discontent...


Riccardo III. Una leggenda nera lunga 529 anni

 


" Ora l'inverno del nostro scontento
e' reso estate gloriosa sotto questo sole di York,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa
giacciono sepolte nel profondo grembo dell'oceano..." .

Ama decisamente far parlare di sé, questo re dall'indole inquieta ed eclettica, alla ricerca di una perenne rivincita sulla vita, consegnato alla leggenda dall'affilata penna del bardo Shakespeare, che ne ha reso immortali le gesta ignobili, facendone il protagonista di una delle sue tragedie piu' cupe, e che oggi ritorna alla ribalta con una rentrée in grande stile.
Malvagio, istrionico, assetato di potere, l'enigmatico signore di York calca i palcoscenici di tutto il mondo, non smettendo di ammaliare il pubblico di ogni tempo, con quella sua aria sinistra e, in fondo, affascinante, portando sulle scene l'eterna rappresentazione del potere, nelle sue complesse, spietate, sfaccettature.  Tutti, i piu' grandi, si sono cimentati con lui, dall'immortale ed indimenticabile Laurence Olivier, a Orson Welles, fino ai contemporanei Al Pacino, Ian McKellen, Kevin Spacey, che a questo ruolo si e' ispirato per impersonare Frank Underwood, diabolico protagonista di House of cards, e ora, dopo aver vestito i panni di Sherlock Holmes per la BBC, anche Benedict Cumberbatch.     




Astuto, falso, traditore, come si definisce lui stesso nei versi shakespeariani, Riccardo III incarna il mistero del male, la sua seduzione, non lasciando il tempo di stupirsi, mentre passa da una contraddizione all'altra, da una distorsione all'altra, da una maschera all'altra, in una crescente escalation che esplora la psicologia malata del potere, e dietro a cui si nasconde una desolante, disperata, solitudine. Uomo di tutti i delitti e di tutti gli inganni, capace di colpire senza rimorso chiunque possa intralciarne il  cammino nella inarrestabile scalata verso il trono, in una impressionante, malefica, morbosa sequenza di morte, il Riccardo fatto rivivere da Shakespeare rappresenta il male assoluto per eccellenza, in cui il personaggio reale e quello romanzato si intrecciano, dando vita ad un intrigo perverso ed affascinante, non privo di humour, in cui la deformita' fisica del protagonista, descritto come ripugnante nell'aspetto, "talmente claudicante e goffo che i cani mi abbaiano quando gli passo accanto arrancando", allude ad una deformita' piu' profonda ed inquietante, quella morale. Un potere, distruttivo, che non risiede nella possenza fisica, ma nell'abilita' a distorcere, dissimulare, manipolare, indossando le sembianze che di volta in volta piu' si adattano a rendersi credibile, in un gioco perverso di intrighi, menzogne, segreti, che rivelano una crescente, inquietante ossessione. Accecato dal sospetto, e vittima della sua stessa brama di rivincita, dopo aver eliminato tutti i possibili contendenti, tra cui i suoi stessi nipoti, ancora in tenera eta', e i piu' stretti collaboratori, il principe malvagio vive notti d'incubo, popolate dagli spettri delle sue vittime, che gli preannunciano l'ingloriosa fine, ormai imminente.
" Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo", gridera', prima di morire, accerchiato, sul campo di battaglia, chiuso in una parabola destinata a chiudersi nel sangue, lo stesso che aveva versato nella sua folle, inesorabile, cecita'. Ma dietro questo re tanto crudele ed ambizioso, quanto carismatico ed affascinante, a cui e' impossibile rimanere insensibili, divenuto archetipo di un potere malvagio e corrotto, destinato a condurre alla rovina chiunque vi si avvicini, si cela una verita' storica assai diversa, la storia di un giovane principe che e' essa stessa leggenda. Dodicesimo figlio del duca di York, discendente da Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza terra, ultimo esponente della dinastia dei Plantageneto, Riccardo III, nato duca di Gloucester, regno' soltanto per due anni, entrando con un ruolo di primo piano in una delle vicende piu' note della storia inglese, la Guerra delle due rose, combattuta tra gli eredi della dinastia degli York, che avevano come simbolo una rosa bianca, e quella dei Lancaster, rappresentati da una rosa rossa, che avrebbero dato inizio all'era Tudor, risultando vincitori sugli avversari. Dall'intreccio sanguinoso di due rose, diverse soltanto per il colore, nasce un nuova epoca sotto il cielo d'Inghilterra, rappresentata da Edoardo VII, conte di Lancaster e Richmond, vincitore di quel Riccardo III di York che Shakespeare si premura di dipingere con sfumature tanto cupe ed abbiette al fine - mai confessato - di compiacere Elisabetta I, sua graziosa committente, donna dalla tempra assai volitiva e dalle simpatie mutevoli, discendente diretta del vincitore della battaglia di Bosworth Field, non lontano da Leicester, nel cuore dell'antica Inghilterra, nell'agosto del 1485. Di non essere nato esattamente sotto una buona stella, nonostante i nobili natali, deve essersene accorto lo stesso Riccardo, quando, stando alla leggenda, una veggente gli avrebbe predetto, proprio alla vigilia della battaglia di Leicester," where your spur should strike on the ride to the battle, your head shall be broken on the return", ove il tuo sperone dovesse colpire nella cavalcata verso la battaglia, la tua testa sara' rotta al ritorno... E proprio secondo la stessa leggenda, andando verso la fatidica battaglia, Riccardo avrebbe colpito con lo sperone una pietra sul ponte di Bow Bridge, contro cui il suo cranio sarebbe andato ad infrangersi, quando, ormai cadavere, i nemici l'avrebbero trascinato lontano dal campo di battaglia, abbandonandone i miseri resti alla pieta' dei Grey friars di Leicester, i Frati Grigi del convento francescano raso al suolo nel 1530, all'apice della dissoluzione dei monasteri per volere del sovrano passato alla storia per personalita' e spietatezza, il grande Enrico VIII Tudor, padre della suddetta Elisabetta I, nota anche come la Regina vergine.
" Vigliaccco! Ho puntato il mio regno su una giocata, e accettero' il rischio del dado... Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo", gli fara' pronunciare il bardo, quando, ormai sconfitto nella battaglia finale, vuole un cavallo per inseguire ed uccidere il suo rivale, Enrico Tudor conte di Richmond, sbarcato con un esercito di mercenari dalla Francia per usurpargli il trono. Nella finzione scenica, quel duello avra' luogo, ed oltre ad infrangere i sogni del Plantageneto, segnera' la fine della trentennale Guerra delle due Rose, aprendo le porte del potere a centodiciotto anni di dinastia Tudor. Da quel giorno, di Riccardo III, ultimo re ad essere stato ucciso in battaglia e unico ad esserlo sul suolo inglese dalla battaglia di Hastings del 1066, si perde ogni traccia, niente sepolture né onore, soltanto l'avverarsi di quella maledizione, "Dispera e muori", a cui gli spiriti delle sue vittime l'avrebbero condannato la notte prima della battaglia di Bosworth Field.
Ma mentre alla notizia della sua morte, la citta' di York piange il suo sovrano, ricordando come "in questo giorno il nostro buon re Riccardo venne tragicamente assassinato ed annientato, a grande cordoglio di questa citta' ", e' lo stesso duca di Richmond Lancaster, salito al trono come Enrico VII Tudor dopo la vittoria di Bosworth, ad accusare davanti al Parlamento il predecessore di tirannia e crudelta', senza tuttavia nominare la terribile ed infamante accusa, riportata da Shakespeare, quella di infanticidio. Tra tutti i crimini attribuiti a Riccardo III, infatti, quello dell'omicidio dei due giovani nipoti, Edoardo, principe di Galles, e Riccardo, duca di York, entrambi figli del fratello Edoardo IV, imprigionati nella Torre di Londra, e' senza dubbio il piu' efferato. Il destino dei principi, intorno a cui si e' creato un vero e proprio mistero, destinato, tutt'oggi, a rimanere tale,  e' indissolubilmente legato alle sorti del matrimonio dei genitori, re Edoardo IV, fratello maggiore di Riccardo III, e Elisabeth Woodwille, dichiarato non valido per una precedente unione di Edoardo. Alla scomparsa del padre, il giovane principe di Galles avrebbe dovuto salire al trono come Edoardo V al compimento della maggiore eta', sotto la reggenza dello zio come Lord Protettore, ma la dichiarazione di nullita' del matrimonio dei genitori  prima dell'incoronazione del giovane Edoardo, rese i due principi illegittimi, privandoli di ogni pretesa al trono, con la conseguente ascesa al potere di Riccardo III. Da quel momento, dei due giovani principi, alloggiati negli appartamenti reali della Torre di Londra, in attesa di quella che avrebbe dovuto essere l'incoronazione del maggiore, come Edoardo V, si persero completamente le tracce. 
Il primo a parlare dell'omicidio dei principi nella Torre di Londra, ad opera di Riccardo III, fu Sir Thomas More, divenuto San Tommaso Moro dopo il martirio sotto il regno di Enrico VIII, 
nella postuma Storia di Riccardo III, pubblicata dopo la sua morte, asserendo che i due giovani principi sarebbero stati uccisi e dati alle fiamme all'interno della Torre per volere del re, e il ritrovamento di due piccoli scheletri, risalenti al quindicesimo secolo, in un baule bruciato, nel 1674, avrebbe dato corpo all'ipotesi dell'omicidio. Ma, se di omicidio si e' trattato, non vi e' prova, cosi' come non vi e' prova del coinvolgimento dello zio -  che al contrario accolse a corte la madre dei due principi, la cognata Elisabeth Woodwille, e le sue figlie - nella loro scomparsa.
Il mistero, dunque, continua, alimentato dalla leggenda nera che aleggia intorno al piu' vituperato sovrano della storia d'Oltremanica, e dall'impareggiabile tratteggio che Shakespeare fa' dei principini, arguti ed affascinanti nella loro innocente giovinezza, capaci di distinguere prima degli adulti le mire del perfido zio, e, come tali, un possibile ostacolo da eliminare per tempo... In realta', il regno del terrore di shakespeariana memoria e' da attribuirsi piu' alla feconda immaginazione e all'ineguagliabile talento del piu' grande autore di lingua inglese, geniale nel disegnare la parabola del potere che si ritorce su sé stesso, e la cui inesauribile sete arriva fino ai giorni nostri, facendo risuonare come terribilmente attuali le parole dell'infido Riccardo, che, fingendo di sottrarsi al peso della corona, sibila con aria mefistofelicamente melliflua " Volete dunque costringermi ad accettare un mondo di affanni? (...) anche se contrario alla mia coscienza e al mio cuore, e' un sacrificio, ma lo faccio per il bene del Paese..." .
Ed e' a questo punto che sorge un "ma", perché se William Shakespeare ha avuto per secoli l'ultima parola su questo re passato alla storia come la quintessenza dell'inganno e del male, contraddicendo persino sé stesso, - I am a villain. Yet I lie. I am not. Sono un furfante. Ma mento, non lo sono - , ci voleva la costanza e l'arguzia di una donna per restituire allo sventurato principe, che altro non fu, se non un uomo del suo tempo, un riposo dignitoso, e una restituita onorabilita'.
 
 


Questa donna ha un nome, Philippa Langley, ed e' andata sulle tracce della sua sepoltura, nel giardino del convento dei Greyfriars di Leicester, su cui oggi sorge nientepopodimeno che un parcheggio. " So che puo' sembrare folle sentirlo, ma quando ho visto quel parcheggio mi sono intrufolata sotto la rete, e davanti ad un posteggio in particolare, ho avuto la fortissima sensazione di stare camminando sopra alla tomba di Riccardo III ". E' il 25 agosto del 2015, quando gli archeologi dell'universita' di Leicester scoprono, nel punto in cui doveva trovarsi il coro della chiesa, i resti dello scheletro di un maschio adulto, dagli evidenti segni di scoliosi, e numerose ferite sul cranio, compatibili con la morte in battaglia.
 


Ma questo e' soltanto l'inizio di un'indagine scientifica che ha del prodigioso, e che conduce all'identificazione di quel cadavere " al di la' di ogni ragionevole dubbio". Si tratta di Riccardo III.

Ad annunciarlo, tra gli applausi, Richard Buckley, uno degli archeologi del team di Leicester, che ha tolto finalmente la maschera ad uno dei personaggi piu' enigmatici e controversi della storia d'Inghilterra, che ha riposato per piu' di cinque secoli al riparo da sguardi indiscreti, sotto un parcheggio riservato del comune di Leicester. Determinanti, oltre alle analisi forensi che hanno permesso di individuarne la conformazione fisica, riconducibile alla descrizione enfatizzata fattane da
Shakespeare, la datazione al carbonio 14, che ha datato i resti in un periodo compreso tra il 1455 e il 1540, e l'analisi del DNA mitocondriale, estratto dal cadavere, e comparato con un discendente della sorella di Riccardo, Anna di York, l'ignaro Michael Ibsen, cittadino canadese, commerciante di arredamento, che ne ha permesso l'inesorabile, indiscutibile, clamoroso riconoscimento. A destare grande impressione, anche le ferite rinvenute sul cadavere, di cui otto soltanto sul cranio, e di cui due potenzialmente fatali, a conferma della versione riportata dalle cronache dell'epoca, e accreditata dallo stesso verso shakespeariano, il re, disarcionato da cavallo, che sprofondava nella palude, e accerchiato dai colpi nemici. Una morte onorevole, dunque, per un uomo che fu, anche a detta degli stessi detrattori, un cavaliere senza paura, e che avra', dopo aver riposato sotto colate di cemento, una sepoltura piu' appropriata,
indubbiamente piu' gradita ad un sovrano a cui Shakespeare fece pronunciare terribili, quanto altisonanti parole : " Ho tramato complotti d'ogni genere, ho iniettato negli animi il veleno con profezie, calunnie, fantasie, per seminare mortale inimicizia".  

Dopo celebrazioni lunghe cinque giorni, che hanno richiamato nel cuore della vecchia Inghilterra persone provenienti da tutto il 
mondo, oggi, 26 marzo 2015, Riccardo III verra' inumato in un sepolcro di pietra bianca nella cattedrale di Leicester, dopo che un giudice dell'Alta Corte britannica, Sir Charles Haddon Cave, ha stabilito debba avere sede il suo riposo terreno, ponendo fine ad una travagliata controversia giudiziaria sul luogo di
sepoltura, che a molti ha ricordato la leggendaria guerra delle due rose. Ad accompagnare il sovrano nel suo ultimo viaggio terreno,
 
 

oltre ad un messaggio di Sua Maesta' la regina Elisabetta II, le rose bianche, simbolo della casata degli York, e il motto che scelse per il suo stemma, Loyaulte me lie, la lealta' mi lega, a ricordarci, dopo un'avventura lunga 529 anni, che, come disse Voltaire, ai vivi dobbiamo rispetto, ai morti la verita'...